Chris Williams - Odu, Vibration II
- Michelle Maffè

- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 3 min
"This cave thing just feels primal, I’m just a human being that’s afraid of the dark."

A dark ritual, where the human soul loses itself only to lose itself again: Odu, Vibration II, the latest live work by Chris Williams, unfolds in less than an hour, weaving ambient echoes, somber atmospheres, and melancholic brass sections in a process of revealing the human being—always unknown, yet eternally present.
Moon, the track that begins the journey, opens with haunting and mysterious drones, transporting us into a world without time or space, open to infinite possibilities. Williams’ trumpet pierces the atmosphere, drawing crooked and powerful frequencies over a continuously evolving electronic backdrop.
Visage introduces trombonist Kalia Vandever, who performs a progressive scale of harmonies and tonalities—slow frescoes of blurred and multifaceted landscapes, gentle caresses over autumnal sceneries in waiting, both light and heavy at once.
location.echo shifts to darker, more unsettling tones, with oblique trumpet lines and underlying synths: the descent into the shadowy cave continues relentlessly, carving a path into the depths through echoes and voids.

Waning awakens us from a millennial slumber, with delicate touches and the tinkle of triangles and bells, while Williams’ trumpet rises elegantly and sinuously, sketching almost a lament from the very bowels, nameless yet profoundly felt. The journey continues with Stemmed outwards, one of the album’s standout tracks: fifteen minutes plunging into the most hidden abysses. From graceful electronic touches to skewed synth strokes, tension builds in the underground until Patrick Shiroishi’s sax cuts through the air, tracing free-jazz trajectories—unpredictable, mutating, wild, and dissonant.
The descent into the cave of the human soul reaches its culmination with Stemmed inwards: here the trumpet traces lighter, more open melodies, as if after such a dark and threatening journey, a sliver of light and hope could emerge—a tentative step out of the cave to breathe fresh air, a gesture of optimism for the human capacity to find themselves again after profound introspection.
Odu: Vibration II fully expresses humanity’s ability to probe its inner depths, in the never-ending quest for meaning, while simultaneously celebrating the possibility of finding answers—partial and incomplete though they may be—necessary to glimpse the light again, at least a fragment of it, in a continuous, unceasing movement.
ITA
"Questa cosa della caverna sembra così primordiale,sono solo un essere umano che ha paura del buio".

Un rituale oscuro, dove l’anima umana si perde per poi perdersi ancora: Odu, Vibration II, l’ultimo lavoro live di Chris Williams, si dispiega in meno di un’ora, tessendo echi ambient, atmosfere cupe e sezioni di fiati malinconici in un processo di rivelazione dell’essere umano—sempre sconosciuto, ma eternamente presente.
Moon, il brano che dà inizio al viaggio, si apre con droni inquietanti e misteriosi, trasportandoci in un mondo senza tempo né spazio, aperto a infinite possibilità. La tromba di Williams trafigge l’atmosfera, disegnando frequenze storte e potenti su un tappeto elettronico in continua evoluzione.
Visage introduce la trombonista Kalia Vandever, che esegue una scala progressiva di armonie e tonalità—lenti affreschi di paesaggi sfocati e multiformi, carezze delicate su scenari autunnali in attesa, leggeri e pesanti allo stesso tempo.
location.echo vira su toni più scuri e inquietanti, con linee di tromba oblique e synth di sottofondo: la discesa nella caverna ombrosa procede senza sosta, scavando un percorso nelle profondità tra echi e vuoti.

Waning ci risveglia da un sonno millenario, con tocchi delicati e tintinnii di triangoli e campanelli, mentre la tromba di Williams si staglia elegante e sinuosa, tracciando quasi un lamento proveniente dalle viscere, senza nome ma profondamente percepito. Il viaggio prosegue con Stemmed outwards, uno dei brani più significativi dell’album: quindici minuti di immersione negli abissi più nascosti. Dai tocchi elettronici leggiadri alle pennellate di synth sbilenche, la tensione cresce nel sottosuolo fino a quando il sax di Patrick Shiroishi taglia l’aria, tracciando traiettorie free-jazz—imprevedibili, mutanti, selvagge e dissonanti.
La discesa nella caverna dell’animo umano raggiunge il culmine con Stemmed inwards: qui la tromba disegna melodie più leggere e aperte, come se dopo un viaggio così oscuro e minaccioso potesse emergere uno spiraglio di luce e speranza—un tentativo di uscire dalla caverna per respirare aria fresca, un gesto di ottimismo per la capacità umana di ritrovarsi dopo un’intensa introspezione.
Odu: Vibration II esprime pienamente la capacità dell’umanità di sondare le proprie profondità interiori, nella ricerca senza fine di un senso, celebrando al contempo la possibilità di trovare risposte—anche parziali e incomplete, ma necessarie per intravedere di nuovo la luce, almeno un frammento, in un movimento continuo e incessante.



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