A Journey to the Edge of the Night.
"I am mutable, we are mutable, the world is mutable. The only thing that will never change is the fact that everything changes, constantly."— Yoga, Emmanuel Carrère.
On a midweek evening, poised between the anticipation of the weekend and the steady rhythm of ordinary days, under the historic arcades of Via Po in Turin, an unusual and captivating performance unfolds. In the intimate and cozy setting of Blah Blah, the duo of Paolo Spaccamonti and Andrea Cauduro brings to life Spaccamonti's latest work, Nel Torbido.

This journey takes us to the edge of the night, immersing us in spectral and enigmatic atmospheres, searching for meaning that remains ever elusive. Paolo's guitar strokes intertwine with Andrea's electronics and baritone guitar, crafting a silent, intangible dialogue where each note seems to question time and space.
There is a fleeting moment where sound and imagination merge: this is the space into which No Blues, the opening track, guides us. Slowly, it draws the listener into a suspended soundscape. Electric guitar riffs, at first delicate and later more forceful, echo into the void, evoking a sense of cosmic waiting and constant suspension without a clear anchor. Coarse sounds build in intensity, accompanied by drumbeats that lead to a tension-filled conclusion.

Nel Torbido, the album's title track, opens with dreamy synths and a nod to cinema (Operation Petticoat). Divided into two distinct movements, it reflects the artist's essence, blending dreamy and desert-like atmospheres with echoes from both the hereafter and the here and now. The first half envelops the listener with suspended strings and ethereal electronics, while the second bursts forth with Paolo's resolute and rugged guitar, almost like an existential warning that interrupts the dream to ground us in the rawness of our nature.
With L’amore che strappa (a near-homage to De André), the journey ventures into a territory of desert rock. Acidic guitar strokes rise against a coarse and muted backdrop, making this one of the album’s most inspired tracks. It symbolizes a relentless existential quest. The sonic narrative takes on the qualities of a film with extended, meditative pacing, echoing Spaccamonti's live soundtracks for Turin’s Museum of Cinema or his work on Lazarus, the David Bowie musical.
Midway through the concert, Salina introduces a wave of experimentation, revisiting a soundtrack Spaccamonti created with Masbedo for the Salinas Museum in Palermo. The opening desert-like fingerpicking intertwines with Andrea's synths, which emerge from the darkness to envelop the space in cinematic tones. The room transforms into a timeless dimension, suspended, where each note delves into the depths of human existence
.
Ha Ragione La Notte, perhaps the evening's most emotionally charged piece, begins with mysterious electronic echoes that steadily take center stage. Andrea’s baritone guitar, played with a bow, replaces the cello of Julia Kent featured on the album, lending a hypnotic intimacy to the performance. The track’s title, drawn from Carrère’s novel Yoga, perfectly encapsulates the nocturnal, dreamlike mood that defines the album and the live experience.

The finale, I Sogni Non Servono (inspired by a phrase from Spaccamonti's father), sees energetic guitar strokes give way to ethereal synths that unleash a deep, unsettling energy. The sensation is akin to gazing into a bottomless well, a metaphor for the human condition—always shifting, never fully grasped.
As we step out into the night, the echoes linger, weaving images of vast, desert-like spaces, reminiscent of Wim Wenders’ Paris, Texas. Like the film’s protagonist, we too are searching for something indefinable, casting our lines into the murky depths of a never-ending night.
ITALIAN VERSION
Viaggio ai confini della notte
"Sono mutevole, siamo mutevoli, il mondo è mutevole. L’unica cosa che non muterà mai è il fatto che tutto muta, in continuazione."— Yoga, Emmanuel Carrère

In una serata infrasettimanale, sospesa tra l’attesa del weekend e il ritmo ordinario dei giorni, sotto i portici storici di Via Po a Torino, prende forma uno spettacolo atipico e avvolgente. Nella raccolta e intima location del Blah Blah, il duo composto da Paolo Spaccamonti e Andrea Cauduro dà vita al nuovo lavoro di Spaccamonti, Nel Torbido.
Quello che ci attende è un viaggio musicale ai confini della notte, un’immersione in atmosfere spettrali e misteriose, alla ricerca di un senso che sfugge continuamente. Le pennellate di chitarra di Paolo si intrecciano con l’elettronica e le vibrazioni della chitarra baritonale di Andrea, costruendo un dialogo sonoro muto e inafferrabile, dove ogni nota sembra interrogare il tempo e lo spazio.
C’è un istante impercettibile in cui suono e immaginazione si fondono: è qui che ci conduce No Blues, brano d’apertura che trasporta lentamente in uno scenario sospeso. I riff di chitarra elettrica, dapprima delicati e poi più robusti, echeggiano nel vuoto, suggerendo un senso di attesa cosmica e di sospensione priva di punti di riferimento. Suoni ruvidi salgono progressivamente di intensità, con tocchi di drumbeat che accompagnano l’ascoltatore verso un finale carico di tensione.
Nel torbido, che dà il titolo all’album, si apre con synth sognanti e una citazione cinematografica (Operazione Sottoveste). Diviso in due anime, il brano riflette il senso stesso del lavoro dell’artista, unendo atmosfere oniriche e desertiche a echi dell’aldilà e dell’aldiquà. La prima parte avvolge con sospensioni di archi ed elettronica eterea, mentre la seconda esplode nella chitarra di Paolo, decisa e rocciosa, quasi un monito esistenzialista che interrompe il sogno per ricordarci la materia di cui siamo fatti.

Con L’amore che strappa (quasi una citazione deandreiana), il viaggio si addentra in un territorio di rock desertico, dove tocchi di chitarra acidi si stagliano su uno sfondo opaco e ruvido. È il brano più ispirato, simbolo di una ricerca esistenziale senza sosta. Qui la narrazione sonora assume i connotati di un film dai tempi dilatati, un viaggio interiore che riecheggia le sonorizzazioni live di Spaccamonti per il Museo del Cinema di Torino o il progetto sonoro di Lazarus, il musical di David Bowie.
A metà concerto, Salina porta una ventata di sperimentazione, riprendendo la sonorizzazione realizzata con Masbedo al Museo Salinas di Palermo. L’intro di fingerpicking desertico si intreccia ai synth di Andrea, che emergono dall’oscurità e avvolgono lo spazio in una dimensione cinematografica. La sala si trasforma in un luogo senza tempo, sospeso, dove ogni nota sembra rimestare nel torbido dell’esistenza umana.
Ha ragione la notte, forse il brano più emozionante della serata, si apre con misteriosi echi elettronici che crescono fino a dominare la scena. La chitarra baritona di Andrea, suonata con l’archetto, sostituisce il violoncello di Julia Kent presente nell’album, donando una vibrazione intima e ipnotica. Il titolo, tratto dal romanzo Yoga di Carrère, incarna alla perfezione l’atmosfera notturna e onirica che avvolge l’intero album.
Il finale è affidato a I sogni non servono (ispirato a una frase del padre di Spaccamonti), dove i tocchi energici di chitarra lasciano spazio a synth eterei che liberano un’energia inquietante e profonda. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a un pozzo senza fondo, una metafora della complessità umana, sempre sfuggente e mutevole.
Quando ci avviamo verso l’uscita, i suoni ci seguono nella notte, evocando immagini di spazi dilatati e desertici, come nel Paris, Texas di Wenders. Anche noi, come il protagonista del film, cerchiamo qualcosa di indefinibile, pescando nel torbido di una notte senza fine.
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